Riceviamo e pubblichiamo un nuovo prezioso contributo di Luigi De Giacomo, fondatore e promotore del percorso “Attuare la Costituzione”.
La designazione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica rispose ad una scelta accurata, quella di un profilo (giurista proveniente dalla Corte e politico di lungo corso omogeneo all’area PD, ma di spiccata formazione DC), che fosse adeguato a ciò che bisognava compiere definitivamente: il passaggio dalla Repubblica costituzionale, così come l’abbiamo conosciuta dal 1948, ad una “Repubblica” che ancora non c’è, quella europea, senza Costituzione, regolamentata da trattati tra Stati membri.
Un lavoro conclusivo, dunque, che seguiva la traccia già segnata dal suo predecessore, Giorgio Napolitano.
Fu per questo che, appena insediato, ebbi a definirlo il “becchino” della Costituzione. E fu per questo che, con la sua attività di Capo dello Stato, ha ripetutamente provato a cambiare l’assetto costituzionale con la sua “noncuranza istituzionale” verso leggi approvate dal Parlamento contenenti chiari profili di incostituzionalità (la legge elettorale “rosatellum” ne è esempio chiarissimo), e con l’avallo (e il sostegno) alla revisione costituzionale Renzi-Boschi che portò il popolo italiano al voto del dicembre 2016.
Quindi l’analisi della sua ultima presa di posizione deve tenere conto del mandato che gli è stato affidato, rispondente a scenari e prospettive in cui crede convintamente.
I mercati e la finanza internazionale sono lo strumento, non la regia, di questa operazione che mantiene integralmente la sua dimensione politica: il neoliberismo, come visione del nuovo ordine mondiale, come ideologia ancorata a testi ed autori, come strategia gestionale di una globalizzazione che non è solo dei mercati, ma dell’educazione sentimentale ed etica della persona.
Il suo No a Paolo Savona al ministero dell’economia risponde a due pensieri, mai riferiti, che l’hanno guidato:
– “cari Italiani, la cessione di sovranità a questa Unione Europea è cosa definitiva e senza possibilità di recupero, quindi fatela finita con l’idea che essa possa essere rinegoziata o mitigata da trattative e tavoli internazionali. Questo ministero deve rimanere il luogo, fisico e virtuale, dal quale bisogna consolidare le cessioni di sovranità a mezzo di scelte di politica economica conseguenziali. Quanto alla Costituzione, in essa sono già stati inseriti i riferimenti che la rendono, e la renderanno, subalterna al diritto dei trattati europei”
– “cari Di Maio e Salvini, caro Conte, caro Savona, non vi credo e non mi fido di voi e delle vostre promesse contrattuali: le vostre sono menzogne utilizzate come strumento per arrivare ad obiettivi non dichiarati, contro l’Euro e la UE, e per questo motivo o stravincerete le prossime elezioni, oppure da questa porta, la mia, non si passa”.
Non meravigli, perciò, la sua forzatura costituzionale dell’art.92 Cost., e nemmeno il suo discorso di liquidazione del governo giallo-verde e del suo presidente incaricato.
Non sorprenda, quindi, l’attuale pressing generale per un “voto subito”.
Non ci lasci impreparati, di conseguenza, qualsiasi altra forma di pressione presidenziale.
Siamo al cospetto di un’Istituzione, la più alta dell’ordinamento del Paese, divenuta debole per sua stessa ammissione, ed incarnata da un uomo che dimostra senza alcun velo tutta la sua fragilità e debolezza istituzionale, poiché risulta assai difficile, per natura umana e per formazione politica, riuscire ad essere servo (nel senso alto del servire) di due “padroni”: il Paese che lo ha conosciuto operatore di costruzione repubblicana, l’Italia, e il Continente che lui stesso ha contribuito a rendere politicamente, e contrattualmente, l’Europa, la nuova Repubblica che non c’è.
A noi, cittadini e cittadine, spetta la responsabilità di acquisire questa consapevolezza e di decidere se questo orizzonte è irreversibile, e quindi di lavorare al suo miglioramento, ovvero se esiste la possibilità di seguire la strada maestra della Costituzione del 47-48, mai compiutamente attuata, dall’alto della quale partecipare alla costruzione di una nuova prospettiva che ci veda protagonisti di una stagione di fervente partecipazione e di riferimenti valoriali decisamente diversi.
La Repubblica che non c’è, altri la stanno costruendo per noi, convintamente da tempo, secondo i propri valori, attuando una strategia di attendismo e di colonizzazione culturale che dura da alcuni decenni.
La Repubblica costituzionale ci aspetta alla sua festa il 2 giugno: esserci, nelle piazze italiane o nella Capitale, costituirà già una scelta precisa che non risponderà al richiamo di questa o quella formazione politica, ma al dovere sentito di esercitare quella sovranità popolare che non può essere relegata al solo momento della cabina elettorale.
29 maggio 2018
Luigi De Giacomo
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