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La Coca Cola è accusata di omicidio plurimo ma è difficile smettere di acquistarla.

3 Gennaio 2017 by Riccardo Donat-Cattin Lascia un commento

 

 

Dal 2003 un gruppo di persone ha lavorato duramente per favorire il boicottaggio della Coca-Cola.

Forse non tutti sanno che negli ultimi venticinque anni la Coca-Cola è stata accusata in Sud America di decine tra omicidi, rapimenti, stupri, torture e minacce dei sindacalisti delle sue fabbriche e dei loro famigliari.

A questo link una presentazione con la documentazione riguardante le accuse, nomi, cognomi, liberamente scaricata dal sito www.killercoke.org.

La maggior parte dei lavoratori delle fabbriche sono appaltati a terzi. I sindacalisti uccisi erano dipendenti di queste imprese terze. La Coca-Cola non può rispondere dell’omicidio di un sindacalista che rappresenta dei lavoratori che sono dipendenti di qualcun altro. Infatti sono stati dichiarati non colpevoli da una corte Usa.

La Coca-Cola sta facendo ciò che è lecito fare, localizzando la produzione dove vuole e subappaltandola a chi si offre di farlo.

Pensate cos’è per noi la Coca-Cola: pubblicità in televisione e supermercato. Non esiste produzione della Coca-Cola, infatti Coca-Cola subappalta tutto, anche le rogne con i sindacati. Il risultato sono profitti, bonus, dividendi, e soprattuto ciò che è più importante per noi: dolce bibita frizzante a un prezzo competitivo. In questo prezzo si scontano omicidi, torture, stupri, minacce e licenziamenti.

Qui il punto non riguarda la Coca-Cola di per sè. Ovunque ci giriamo in città, muovendoci dentro a un supermercato o a un negozio, ci sono prodotti di cui non sappiamo la provenienza, non sappiamo chi, come e dove un prodotto sia stato raccolto, lavorato, assemblato, impacchettato. Sono i prodotti che usiamo quotidianamente.

A sentire le tesimonianze di chi si è inoltrato a infilare il naso nei luoghi di produzione, dobbiamo realizzare una cosa semplice e fondamentale: l’economia globale è basata sullo schiavismo. Poco importa se il consumatore ne è consapevole o no. Di fatto questo fa di noi degli schiavisti.

Anche se siamo disoccupati, o schiavi noi stessi del lavoro, del denaro o del sistema, noi siamo degli schiavisti. E se non costruiremo una solidarietà tra produttori e consumatori ci toccherà rimanere in questo mondo da incubo, in cui la bibita che bevono i nostri figli con tanta serenità costa due euro e vite spezzate, famiglie distrutte, umiliazioni e povertà. Il problema è che questo praticamente per tutto: per i vestiti, per i cellulari, i computer o il novanta percento delle cose che tocchiamo.

Questi morti, oltre a richiedere giustizia, devono essere ricordati affinchè nel futuro, guardando indietro a questo periodo storico, l’esplosione della globalizzazione, rimanga chiaro che si è trattato di un sistema basato sullo sfruttamento, sulla violenza, sulla minaccia e sull’omicidio, e che bisogna vergognarsene.

Qui, oggi, la solidarietà è fuori dall’agenda umana. E chi non si allinea perirà sul mercato. Questo è il neoliberismo, il mondo come lo stiamo impostando ormai da più di trent’anni.

È necessario puntare i riflettori sulla completa assenza del rapporto tra noi e i produttori di ciò che consumiamo, per poterne costruire uno e prenderci le nostre responsabilità.

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