Riceviamo e pubblichiamo un nuovo prezioso contributo di Luigi De Giacomo, fondatore e promotore del percorso “Attuare la Costituzione”.
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“Dedico questa breve riflessione a tutte le persone che consapevolmente vivono questa diffusa illegalità costituzionale, perchè ognuna si senta responsabile della risposta collettiva che è necessario, ed urgente, organizzare”.
Luigi De Giacomo
LA POVERTA’ NON E’ UN INCIDENTE DI PERCORSO
Senza l’impoverimento culturale di intere generazioni non è possibile ridurre un intero popolo in povertà economica: così, lontano dall’essere un incidente di percorso, la povertà nel nostro Paese, che è oramai “strutturale”, risponde ad una precisa strategia nazionale ed internazionale, ed alle direttive di un neoliberismo imperante.
Nel 1948, il 18 aprile, aveva inizio il primo tentativo di governo “costituzionale”, uomini e donne a servizio del popolo che si assumevano la responsabilità, senza vincolo di mandato, di attuare la grande opera della Costituzione. Ma aveva anche inizio il lavoro diretto ad impedire che ciò potesse avvenire, lavoro che non ha avuto soluzione di continuità.
Nella fotografia che questi 70 anni di Repubblica ci forniscono, emerge nitidamente che Governi e Parlamenti non ce l’hanno fatta, rispondendo, con i fatti, ai tanti dubbi e perplessità che, già dagli anni 50, venivano sollevati circa la possibilità e la reale volontà di attuare la Costituzione.
I Costituenti ebbero la grandissima capacità di consegnarci un insieme di principi, valori e raccomandazioni che suona ancora oggi come una sinfonia che non può essere eseguita parzialmente, che non può avere, nella sua viva testimonianza, delle letture di parte, degli assoli strumentali che coprono il lavoro d’insieme: eppure quell’articolo 49, che pure conteneva l’avviso ai naviganti del “metodo democratico”, è stato il grimaldello principale per scardinare l’intero impianto costituzionale, e per consegnare alle future generazioni una democrazia non partecipata e assai poco costituzionale, costruendo un immaginario collettivo per il quale la sovranità popolare può essere espressa ed esercitata unicamente attraverso il mandato parlamentare.
Era difficilmente immaginabile che quella Costituzione, che ci ha realizzato Comunità, potesse divenire un riferimento astratto all’interno di una politica e di una società con una diffusa illegalità costituzionale.
Nella giornata di ieri, 17 aprile 2018, alla vigilia dell’incarico esplorativo che la Presidenza della Repubblica affiderà per provare a costruire un governo possibile (reso democraticamente difficile da una legge elettorale che nulla ha a che fare con la legalità costituzionale), il “reggente” del Partito Democratico, partito a lungo, ed in vario modo, al governo negli ultimi decenni (e parte integrante di quel partito unico neoliberista europeo che va dal PPE al PSE) ha dichiarato che i punti per un eventuale “contratto governativo” sono le misure contro la povertà e il lavoro, i provvedimenti cosiddetti di “inclusione”, facendo eco al “reddito di cittadinanza”, punto forte dei veri vincitori di questa tornata elettorale, il M5S.
Questa dichiarazione, in una Repubblica democratica e fondata sul lavoro, in cui la sovranità appartiene al Popolo, è una straordinaria ammissione di colpevolezza che non riguarda evidentemente il solo PD, e che mette l’intero Paese dinanzi alla responsabilità e al dovere di prendere atto dei gravi crimini compiuti, istituzionalmente, ai danni del Popolo italiano: la confessione limpida, che richiama un’altra confessione di qualche hanno fa (“abbiamo distrutto la domanda interna”), di aver agito nella più grave illegalità costituzionale di sempre, provocando un danno biologico evidentissimo, e una povertà “strutturale” assai pesante.
Gli attacchi alla Costituzione, di antica memoria, e i referendum popolari a sua difesa che negli ultimi 30 anni si sono susseguiti, sono due facce della stessa medaglia, una medaglia che ci consegna ad una vita sociale che si svolge, comunque, facendo riferimento ad una legalità “di parte”, sempre più lontana dai principi e dai valori della nostra Costituzione.
Cambiare la storia di questo Paese, e non solo, è un’operazione possibile solo a condizione che i dettami fondamentali della Costituzione italiana del 1948 vengano fatti propri dal Popolo italiano, ancora prima che dalle Istituzioni che dovrebbero rappresentarlo, e che l’esercizio della sovranità popolare rivendichi, con forza, le soluzioni per la piena occupazione (grazie alla quale è possibile la difesa del nostro territorio, del nostro ambiente e del nostro sistema idrogeologico, artistico, storico, architettonico) e le conseguenti politiche economiche per il “pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.
La povertà non è un incidente di percorso, ma lo strumento grazie al quale le cittadine e i cittadini accettano la sudditanza come necessario surrogato di democrazia.
Luigi De Giacomo
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