Lo Specchio di Ettore Scola, 40 anni dopo
In Omaggio al grande Ettore Scola, pubblichiamo un articolo tratto dal volume in uscita “LO SPECCHIO DIPINTO – Ettore Scola e dintorni”, a cura di Paola Dei. Prefazione di Nicola Borrelli, FALSOPIANO EDITORE, 2016.
Di Jacopo Brogi
Giacinto ha 10 figli, un milione di lire vinto per aver perso un occhio e una baracca imbottita da moglie, amante e parenti vari, nella periferia romana vista cupolone. Dorme col fucile accanto al cuscino e convive con la paura: che qualcuno di casa possa scippargli il tesoro.
Ogni società ha sempre avuto i suoi margini: viverci qualche volta è una scelta, più spesso è effetto collaterale di uno sviluppo distorto che fabbrica anche sottosviluppo.
1976. Siamo in un Paese che fra dieci anni diventerà quinta potenza mondiale, superando la Gran Bretagna.
Ormai la classe media è spina dorsale di un popolo, prima contadino ora consumatore.
La famiglia Manzella vivacchia fra furti, furtarelli, prostituzione ed espedienti vari: e qualcuno mira il grande salto, per essere incluso. Magari senza lavorare. Ecco che allora si è disposti a tutto: non è un film qualsiasi, ma un affresco grottesco, cinico e spietato di umanissima avidità.
I Manzella, ritratti magistralmente da Ettore Scola (Palma d’oro per la migliore regia al Festival di Cannes 1976) , sono un pò nostri antenati? Gente semplice, ma disposta a tutto per raggiungere il denaro e la fama.
E quindi incattivita, tanto da rinchiudere i più giovani in un recinto, come ad impedire loro ogni possibilità di futuro.
Eppure, quasi tutti noi, non viviamo di espedienti, ma siamo come intrappolati in un eterno presente.
Non siamo brutti, nè sporchi, anzi. Siamo belli, puliti e alla moda. E siamo disposti a tutto, pur di non essere esclusi. La cronaca nera dipinge quotidianamente la nostra epoca, ma è ciò che non va in tv ad essere forse più inquietante: la cronaca grigia dei rapporti umani, della socialità virtuale, della disoccupazione reale.
Siamo così: belli, puliti e molto più cattivi. E forse la malvagità più grande è l’indifferenza. Ciò che crea il grande vuoto: dal sottoproletariato al precariato. Dalle baraccopoli ai “non luoghi”, periferie commerciali. Dall’accattonaggio agli outlet, dalla promiscuità di borgata all’ ”amore liquido” di Zygmunt Bauman.
Per attori che passano, un’umanità che resta: il grande Ettore Scola ci ha lasciato in eredità uno Specchio.
Sta a noi a liberare i più giovani dal recinto: per prima cosa, cerchiamo di riporre il fucile e tornare finalmente a ridere di noi stessi.
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