Informarsi sulla storia dell’economia degli ultimi centocinquant’anni, vederne i suoi sviluppi, la sua evoluzione e la sua strumentalizzazione ai fini dominatori di una società che sempre più punta ad una dipendenza da essa, mi ha inequivocabilmente portato a fare tristi parallelismi culturali sugli stessi ultimi centocinquant’anni. Il decadimento culturale indotto è quindi per me stata una tra le più potenti, antietiche, celate ed egoistiche armi utilizzate nel secolo scorso, e in voga in questo secolo più che mai. Chi più sa più vede, chi più vede meno si accontenta, chi meno si accontenta più si ribella. La cultura è pericolosa, per loro. Non ci è stata portata via la cultura stessa, ci è stata disegnata come inutile, schierata politicamente (in una sinistra che non esiste più da molti decenni), atta esclusivamente a fini individualisti e non societari. L’obbiettivo socialmente accettato non è più l’arricchimento del sapere, la ricerca di una più complessa e ricca verità, bensì una semplificazione, uno svuotamento del superfluo (inteso, retoricamente, come ogni angolo di cultura non direttamente utile al somigliare all’immagine dell’umano bello, depilato, benestante e apparentemente felice presentataci come meta) con una particolare accezzione all’apparenza.
Con Euterpe che negli ultimi anni si starà inorridendo, prendo ad esempio la musica. Quanti sono quelli che ritengono la musica classica noiosa, inadatta o passata di moda? Beh crescendo, ho avuto come l’impressione che il vero pensiero non sia questo, bensì un’incapacità alla comprensione della stessa portato dalla scuola all’ignoranza e alla futilità alla quale siamo sottoposti da troppo tempo. Quando sono al cospetto della musica, quella vera, mi rendo conto di quanto sia ricca, complessa, tanto piena di elementi da non essere mai univoca nè “passata di moda”. Dagli anni ’80 una degradazione qualitativa della musica ha portato a una semplificazione malata, a una ricerca della banalità e del temporaneo che ne hanno mutato la sua meravigliosa forma. Forse nella musica complessa non si può ballare? Non ci si può emozionare? Non si possono trovare tutte quelle cose (e mille altre in più) che si trovano nella vuota musica moderna? Persino il genere pop, oggi un aggregamento di banalità di testi e musica, fino agli anni ’70 era pilotato da gruppi come i Beatles, che arricchivano ogni angolino delle loro canzoni “semplici” rendendole ancora oggi enigmatiche e ammirevoli.
Il problema è che non siamo noi, non è colpa nostra. Non è la società ad aver perso interesse alla cultura. Non è vero che preferiamo essere belli, depilati, ricchi e felici, il fatto è che qualcuno ci ha condotti, qui. L’arte vera è quella che nasce dal basso, dalle necessità di esprimersi, dalla ricerca della ricchezza di contenuti. Negli ultimi decenni l’arte è invece diventata l’arma più pericolosa in mano a coloro che, sopra alle nostre teste, ci usano, ci muovono come burattini non solo ai fini della (loro) ricchezza, ma sopratutto ai fini della domabilità, dell’accettazione dell’inaccettabile da parte di una popolazione euro-americana che un tempo non avrebbe accettato nemmeno la metà di ciò a cui siamo sottoposti ora.
Non siamo più capaci di distinguere le qualità, di determinare il valore, di esprimere opinioni che siano frutto del nostro essere e non del pensiero pubblicitario dominante che pensa per noi. Necessitiamo di un marchio e/o di un prezzo e/o della fama per determinare un valore. Ormai non solo degli oggetti, ma anche delle morali umane e dell’etica, evolute purtroppo anch’essi in merce modificabile.
Io mi schiero dalla parte dei lesi, dei deturpati. L’unica cosa che mi chiedo è: È la mia una visione negativista di una società che tutto sommato tira avanti? È la mia una nostalgia di un tempo che non ho mai vissuto? Quanti sono ad accorgersi di ciò, se realmente fosse così?
Boh, quel che so è che io continuerò imperterrito ad ascoltare Beethoven, Genesis, Dvorak, Bernstein, Chopin, Liszt, Yes, King Crimson, Beatles e tutti coloro che ancora oggi riescono a malapena a stare a galla cercando di proporre una musica ancora ricca, ma sovrastata da una massa musicale immensa di forma ben (volutamente) definita di più semplice comprensione.
Viva la ricchezza culturale, da qualunque musa sia essa rappresentata.
G.B.
Lascia un commento