Secondo fonti arabe, la Russia sarebbe pronta a colpire la Turchia in caso d’invasione della Siria: “reazione senza esitazioni e senza limiti”. Intanto, la Nato è già arrivata da una decina di giorni nell’Egeo, ufficialmente per “contrastare i trafficanti di esseri umani”: dal settembre scorso ad oggi, secondo l’Unicef, l’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) e l’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), sono morti 340 minorenni. In media, due decessi al giorno. 700, solo nel 2015 (*).
Pubblichiamo in esclusiva lo straordinario racconto di Elin T. Sorensen volontaria norvegese sull’isola di Chios (Grecia), una delle porte d’Europa per chi sogna un avvenire diverso e fugge in preda al bisogno di pace e di un avvenire dignitoso. Non dimenticando la funzione che ha l’immigrazione per l’èlite globalista al comando: abbattere le differenze fra i popoli per cancellare le loro identità.
(Below the original version)
CHIOS NOTES
Di Elin T. Sorensen
Gennaio 2016
Intro. Sono allarmanti le notizie sugli sbarchi di rifugiati che i media ci forniscono negli ultimi anni e ancora continuano nel 2016. In special modo siamo rimasti colpiti dalla fotografia del bambino annegato, sdraiato prono sulla spiaggia. Questo singolo caso ci ha fatto ancor di più aprire gli occhi sul problema delle vittime delle guerre, in Siria, in Afghanistan…
Grazie a Facebook, sono venuta a conoscenza di una Organizzazione norvegese Non-Governativa: la “The Drop in the Ocean” [Una Goccia nell’Oceano, ndt].
Creata da una donna nell’Agosto 2015, questa ONG ha ricevuto un enorme successo tra i volontari di tutta la Norvegia. “The Drop” facilita e rende possibile, a tutti coloro che chiedono aiuto, il trasferimento verso la Grecia.
Qui, l’Organizzazione collabora con molte altre ONG, oltre che con squadre di soccorso professionali, dottori, infermieri e organizzazioni internazionali come l’UNCHR (United Nations High Commissioner for Refugees) o la WAHA (Women and Health Alliance International).
Sono partita come volontaria per Chios, Grecia.
Anche se a Gennaio il meteo non è favorevole, i volontari hanno aiutato la comunità locale pulendo le spiagge, organizzando la distribuzione dei vestiti per i profughi e molto altro ancora.
Le migliaia di persone che arrivano sulle spiagge di Chios influenzano l’intera comunità, una situazione che si protrae da un paio di anni ormai.
Ho deciso di mettere nero su bianco le mie impressioni, pensieri che ho avuto entrando in contatto con questo ambiente. Mi sono concentrata sulla ricerca di oggetti, come giubbotti salvagente, passaporti, imbarcazioni gonfiabili. Ognuno di questi oggetti ha una storia da raccontare.
I rifugiati. L’ultima volta che ho visitato un’isola greca ero ancora adolescente; facevo parte di un movimento di ragazzi provenienti dal nord Europa, in cerca di sole e di divertimento sull’onda del “flower power party” (dei primi anni ’90).
Ancora chiedendomi cosa pensasse di noi la comunità greca allora, ho iniziato un viaggio completamente diverso, parte di una nuova generazione di turisti: volontari che partono per aiutare i rifugiati approdati sulle spiagge di Chios.
In fuga, in migliaia e migliaia prendono la via più corta e più sicura tra la Grecia e la Turchia. In certe zone, la distanza da Chios è di 6-8 km. Circa un’ora di viaggio, se fortunati, in piccole imbarcazioni gonfiabili (per un costo di €3000 a testa).
Stanotte, attraversando le acque dell’Egeo, condividiamo la stessa notte scura. Provenendo dal posto più sicuro del mondo, con un reddito certo e con un sistema di welfare, è impossibile cogliere a pieno l’angoscia e i pericoli della guerra.
La tristezza della separazione, perdere i propri cari e la gioia di sentirsi in salvo sono sentimenti universali.
I giubbotti salvagente. Le etichette degli indumenti di salvataggio ci dicono che tali giubbotti riducono il rischio di annegamento per i natanti, e per coloro che non sanno nuotare, in acque riparate. Nella maggior parte delle condizioni, chi li indossa inconsapevolmente si girerà a faccia in su. Essi sostengono adulti di più di 41 kg, e bambini tra 0-5, 5-15, 15-30 kg.
I giubbotti salvagente, che vanno alla deriva lungo le spiagge di Chios, che vengono raccolti e riempiono i bidoni pubblici dell’immondizia fino all’orlo, in effetti non sono imbottiti con schiuma studiata per galleggiare, bensì con strisce di schiuma sottile ritagliate dai materassini.
Pile di giubbotti salvagente colorati sono il segno che i rifugiati hanno fatto il loro primo passo in Europa.
Le centinaia di salvagenti mi fanno ancora tornare in mente chi sta dietro a questo business, probabilmente realizzato in una linea di produzione industriale.
Anticipazione. Il campo dell’UNCHR è praticamente vuoto. Locato in una vecchia fortezza, dove gli antichi mattoni impilati contrastano con le tende.
Gli ultimi giorni sono stati molto ventosi, non è arrivata nessuna imbarcazione a Chios. Ci arrivano indiscrezioni che più di 2000 persone stanno aspettando dall’altra parte.
E’ difficile stare qui? Imbarazzata, devo ammettere che è dura lasciare la “comfort zone”, per fare il turno di notte sotto la pioggia battente. Torno ad irrigidirmi dopo che le risate dei bambini del campo mi avevano resa allegra. La crescita dei rifugiati mi turba.
00:30. Turno di notte: sono consapevole che possono arrivare rumori di motori di barche, voci, torce intermittenti.
Identità indesiderata. Ci sono documenti d’identità sparsi per le spiagge di Chios. Carte rotte e passaporti in pezzi, come se non avessero alcun valore.
Alcune nazionalità sono “migliori”. Sono quelle che danno diritto di asilo. Da quello che sentiamo, le persone provenienti dall’Afghanistan sono in fondo a questa gerarchia. I pezzi di passaporto che ho visto sono iraniani.
Per un po’ adesso, nella gestione della natura, le politiche si basano sulla comprensione di ciò che in natura non si può racchiudere all’interno di linee artificiali in una mappa.
Il cambiamento è verso una gestione basata sull’ecosistema, dove per esempio si decida di come gestire e prendersi cura al meglio della proprietà degli spartiacque.
Forse necessitiamo di nuove strategie per i popoli in movimento oltre i confini e le culture. Ripensare le frontiere?
Chi non vorrebbe un lavoro, guadagni, prendersi cura della propria famiglia, libertà di movimento, ecc.. .
Le imbarcazioni gonfiabili. I pavimenti sono costruiti con varie parti, allo stesso modo la struttura che fa da esoscheletro, flessibile ai movimenti dell’oceano.
Basse sulla superficie del mare, si riempiono di acqua ad ogni minima onda. Durante le ultime 24 ore, circa 34 barche sono arrivate a Chios. A bordo trasportavano 50/60 persone (le imbarcazioni gonfiabili sono autorizzate per 15/20). In tutto circa 2000 persone.
Mi immagino tutti ammassati come api nell’alveare d’inverno. Bambini, donne, neonati al centro. Gli uomini intorno. Bagnati. Infreddoliti.
Sulla costa i volontari li aiutano con vestiti asciutti, acqua per dissetarsi e banane. Gli autobus locali li portano al campo per la registrazione.
Una donna proveniente dall’Afghanistan, una graphic designer, è in viaggio per un campo in Germania. Lei non sa dove, non ha nessuno da incontrare, nessuno che la accolga.
I temerari. Sulla strada da Chios per Atene, condivido la stessa barca con molte delle persone incontrate al campo-profughi.
Durante il viaggio notturno sul traghetto, sono stata invitata a mettermi in una stanza tranquilla con molti posti liberi. Intanto le persone che avevo riconosciuto sulla barca dormivano altrove. Discriminazione visibile ma non istituzionalizzata (o regole sociali discriminatorie non scritte).
Vidi di nuovo un ragazzo siriano che parlava inglese, quello che fungeva da traduttore ai dottori, infermieri e volontari del campo. Era diretto a Stoccolma per diventare dottore.
Se la situazione si calma, il suo piano è di tornare in Siria e lavorare per la sanità.
Al campo, gli chiesi se si fosse impaurito durante il viaggio dalla Turchia. Mi disse di ‘no’. No?
Lui mi disse che fuori da lì si sentiva indifferente se ci fosse riuscito o meno, poiché non vedeva nessun futuro nel posto che aveva lasciato. Gli chiesi se la pensasse allo stesso modo prima della guerra. Mi disse di ‘no’. Mi disse che probabilmente questo era l’effetto del “insha’Allah” (إن شاء الله ; In šāʾ Allāh): per volere di Dio, per essersi messo nelle mani di Allah.
Il filosofo norvegese Arne Næss, descrive una situazione in cui si trovò in montagna, obbligato a scegliere tra due possibilità: o continuare, o morire là. Se si fosse mosso sarebbe potuto cadere e morire.
Decise di muoversi, e scrisse: “un drastico promemoria: ci sono sempre possibilità di salvezza, anche se le circostanze sembrano senza speranza” (Næss 2002:6).
Penso che condividiamo tutti una forza positiva forte e un grande istinto di sopravvivenza. Perciò, queste persone che si muovono sono i veri eroi dell’Europa.
Spirito di comunità. Ad Atene, ho visitato l’Acropoli, eretta nella seconda metà del quinto secolo a.C. .
Viene descritta come la trasformazione di una montagna rocciosa in un monumento allo “spirito umano e all’arte”.
La sensazione che rimane più impressa dopo essere stata a Chios (insieme a tutte quelle positive: locali fantastici e di cuore, volontari da tutta Europa e Stati Uniti), è la presenza di discriminazione tra ‘noi’ e ‘loro’.
Come il fatto assurdo che il traghetto ordinario tra Chios e Cesme costi €19 per ‘noi’, mentre il viaggio con le imbarcazioni di fortuna costa €2000-3000.
Inoltre, abbiamo avuto notizia della distruzione di un campo afghano a Cesme da parte della polizia turca, per prepararsi all’arrivo di una figura politica in visita: Angela Merkel. I rifugiati sono dovuti fuggire e nascondersi.
Così mi è venuta in mente la nozione di “Gärtnerstadt” [’città-giardino’] di Zygmunt Bauman: metafora di una società in cui gli indesiderati vengono allontanati come si strappano le erbacce.
Bauman ha studiato le relazioni che intercorrono tra modernità, burocrazia, razionalità ed esclusione sociale.
Essendo una designer d’esterni/artista visuale, cosa posso effettivamente fare?
Ad esempio creare nuovi spazi/luoghi per l’interazione sociale? Facilitare situazioni di contatto, in cui ‘loro’, e ‘noi’, possiamo condividere storie, esperienze, abilità.
Parlare di burocrazia. Trovare nuovi modi per associare le ‘loro’/’nostre’ competenze ed esperienze come risorse comuni.
La prossima Norwegian Architecture Triennal 2016 [Triennale norvegese dell’architettura], “After Belonging Agency” [Oltre all’appartenenza all’Agenzia, ndt], sarà indirizzata verso le migrazioni, l’affiliazione e le situazioni di transito.
La pubblicazioni sulla Triennale ci fanno rendere conto (alla comunità degli architetti) di aver bisogno di una comprensione più profonda della situazione, in modo da andare incontro alle necessità di queste persone in movimento. Perciò, saranno importanti le ‘loro’ esperienze e abilità come forza trainante di tali indagini?
Allo stesso modo sarà importante la pianificazione di nuove case o abitazioni provvisorie per i loro bisogni più immediati, o l’uso/riuso di aree o edifici. La trasformazione avviene in base alle ‘loro’ condizioni, che poi sono anche le ‘nostre’.
Quali ambienti possiamo offrirgli? Cosa possono dirci di come li vediamo? Fino a che punto possono influenzare i loro nuovi dintorni, prima che la burocrazia abbia fatto la sua parte?
In breve, lasciamo che queste persone contribuiscano in modo partecipativo, così che diventino parte di noi. Lasciamo che l’integrazione comprenda entrambe le parti.
Magari le nuove case e situazioni (temporanee o no) possono diventare i monumenti dello “spirito della comunità e dell’arte” dei nostri tempi.. .
Elin T. Sorensen
Atene – Chios Gennaio 2016
Foto: Sørensen © 2016 mobile shot, Huawei G6-L11
Traduzione: Tommaso Mancianti
ORIGINAL VERSION:
CHIOS NOTES
Di Elin T. Sorensen
Intro. Disturbing news on the boat refugees has reach us by the media throughout last year – continuing into 2016. Especially disturbing, the photography of the drowned little boy – lying face down on the beach. This little individual made our eyes wide open to the large challenge with the victims of wars, in Syria, in Afghanistan …
Via Face Book, I became aware of the Norwegian Non-Governmental Organisation (NGO) ‘The Drop in the Ocean’. Initiated by one woman in august 2015 – this NGO has received enormous response from volunteers all over Norway. ‘The drop’ facilitates and make possible for anyone wishing to help to go down to Greece. Here, ‘The Drop’ collaborate with many other NGO’s as well as professional rescue teams, doctors, nurses, international organizations as the United Nations High Commissioner for Refugees (UNCHR), and Women and Health Alliance International (WAHA).
I left for Chios, Greece to work as a volunteer because I had to.
The weather was rough in January. During my stay, we helped the local community by cleaning beaches, collecting, cleaning and organising clothes for the people arriving from Cesme – with a long journey still in front of them. The thousands of people entering the shores of Chios influence the whole community – a situation that has been going on for at least a couple of years now.
I decided to write down my impressions – thoughts that came to me in encountering the situation. I focused on found objects, as life wests, passports, inflatable boats. Each object carrying a story.
The boat refugees. Last time I visited a Greek island, I was still in my teens – part of a movement of North Europeans seeking fun in the sun in a kind of extended flower power party (of early 90’ies).
Still wondering what the Greek community thought of us back then, I embark a completely different journey – part of a movement of a new set of tourists: Volunteers going to help boat refugees entering the shores of Chios.
In escape, thousands and thousands take the shortest and safest trip between Turkey and Greece. At some places, the distance to Chios is 6-8 km. About 1h trip, if lucky, in small, inflatable boats (at a fee about €3000 per capita).
Tonight, crossing the Aegean waters, we share the same black night. Leaving from the safest place on earth, steady income, welfare system it is impossible to grasp the angst and perils of war.
Still, the sorrow of separation, losing loved ones and the heartily joy of feeling safe is universal.
The lifejackets. Lifesaving west labels tells us that these life vests reduce the risk of drowning for swimmers and non-swimmers in sheltered waters. In most conditions, unconscious wearers will turn face up. Supporting adult body weight +41 kilos, and kid’s body weight 0-5, 5-15, 15-30 kilos.
Lifejackets drifting along the Chios beaches collected and filling up public garbage bins to the brim, are in fact, not filled with buoyancy foam designed to float – but with cut pieces of thin foam sleeping pads.
Piles of bright coloured life vests are signs of the refugees having managed their first step into Europe. Still the hundreds and hundreds of lifejackets left make me wonder about the master mind(s) behind this business concept, probably realized in a commercial production line.
Anticipation. The UNHCR camp is nearly empty.
Situated by an old fortress, ancient bricks stacked upon each other, contrasting the tents.
Last days been windy, no boats to Chios. Rumours has it that more than 2000 people are waiting on the other side.
Is it hard to be here? Embarrassed, I must admit it is a bit hard to leave the comfort zone, attending night watch in pouring rain. I take my self in ‘stiffening’ by playful, laughing kids in the camp – flexible minds. The grown up refugees seems more troubled though.
00:03 AM. Night watch: Aware of possible boat engines, voices, blinking torches.
Unwanted identity. Identification documents scattered on Chios shorelines. Broken cards, passports in pieces – as they do not really count.
Some nationalities are ‘better’. The ones giving right to asylum. As we hear, people from Afghanistan are ‘low’ in this hierarchy. The passport-pieces I have seen are Iranian …
For a while now, in nature management, policymaking base on understanding that one cannot administer nature within manmade lines on a map. The turn is to ecosystem-based management, where for example, properties of watersheds as a whole decide how to best manage and take care.
Maybe we need new strategies for people, cultures – movement across borders. Re-think frontiers?
Because, who does not want work, income, to care for their family, possibilities to move on, etc.–etc.
The inflatable boats. Floors constructed by many parts, as an exoskeleton structure, flexible to the movements of the ocean.
Low on the water surface, even small waves flush all wet. During the last 24h, about 34 boats arrived at Chios. Between 50-60 people on board, (the inflatable boats registered for 15-20 persons). Altogether, about 2000 people.
I imagine people nest together like bees in winter hive. Kids, women, babies in the middle. Men around. Wet. Cold.
At shore volunteers meet them with dry clothes, give out water, bananas. Then local busses take them on to the registration camp.
One woman from Afghanistan, a graphic designer, is on her way to Germany – to a camp. She do not know where, have no one to meet and greet her.
The fearless. On the way from Chios to Athens, I share the same boat as many of the people I met at the refugee-camp.
On the ferry night trip I, for instance, was directed to a quiet room with many free seats. While the people recognized as ‘on the run’ slept elsewhere. Visible, but un-institutionalized discrimination (or unwritten social discrimination rules).
I saw again a young guy from Syria, who speaks English, thus ‘worked’ as a translator to the doctors, nurses and volunteers in the camp. Heading for Stockholm to become doctor. If the situation calms down, his plan is to return to Syria, to work within health care.
In the camp, I asked him if he was afraid on the boat trip from Turkey. He said ‘no’. No? He said that out there he felt indifferent to if he would make it or not – as he saw no future from where he left. I asked if he thought likewise before the war. He said ‘no’.
This may be effect of insha’Allah ( , ʾin shāʾa llāhu): for “God willing”: for putting himself into
God’s hands.
The Norwegian philosopher, Arne Næss describes a situation where he was stuck in the mountain – faced with two choices: Either to move on, or to die there. If he moved he might fall and be killed.
He moved – and wrote, “A drastic reminder that there are always possibilities of survival, even if the circumstances seem quite hopeless” (Næss 2002: 6).
I would say we share a strong, positive life force and instinct of survival. Thus, these people in transition are the true heroes of Europe.
Community spirit. In Athens, I had to see Acropolis. Erected during second half of the 5th century B.C. Described as transforming a rocky hill to a monument of the ‘human spirit and of art’ …
The impression remaining the strongest after visiting Chios (besides all the positive; wonderful, warm hearted locals, and volunteers from all over the world) – is presence of the discrimination between ‘us’ and ‘them’.
As the absurd fact that the regular ferry between Chios-Cesme costs19€ for ‘us’, while the inflatable boat trip is about 2000-3000€ …
As in Chios we heard that Turkish police broken up the Afghan camp in Cesme, to prepare for politicians visiting, i.e. Angela Merkel. The refugees broke up, hided themselves …
By this, Zygmunt Baumans notion of the ‘Gärtnerstadt’ came to my mind: A metaphor for a society (state) where the unwanted (people) are ‘removed – like weed’. Bauman studied relationships between modernity, bureaucracy, rationality and social exclusion.
Being an architect/visual artist – what can I/we actually do. What about creating more space – places for social interaction? Facilitate situations where ‘they’ – we – can share stories, experiences, skills. Walk around bureaucracy. Find new ways to couple ‘their’/’our’ skills and experience as common resources.
Writings on the coming Norwegian Architecture Triennial 2016 put forward that we (the architect community) need a deeper understanding in order to meet the needs of these people on the move. Should not then, ‘their’ experiences and skills be a driving force in such inquiries? As the planning for new homes or temporary dwellings to meet acute needs, the use/reuse of areas and buildings. Transformation happening on ‘their’ terms, as well as on ‘ours’.
What kind of environments do ‘we’ present? What do they tell about how ‘we’ see ‘them’? To witch degree can ‘they’ influence their new surroundings, before bureaucracy has played its part? In short, let ‘these’ people contribute in participatory ways, so that they become us. Let integration unfold both ways.
Maybe such new housing and situations (temporary or permanent) can become our times monuments of ‘community spirit and of art’…
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Athens-Oslo January 2016 |
Photoes: Sørensen © 2016 mobile shot, Huawei G6-L11.
Riferimenti/References
Matina Steris (2014). Refugees Cross a Narrow Sea Passage With Europe on Horizon. Wall Street Journal 2014-11.
Inshallah. https://en.wikipedia.org/wiki/Inshallah. Accessed January 2016.
(*) = http://www.difesaonline.it/geopolitica/tempi-venturi/russia-pronta-colpire-la-turchia-caso-dinvasione-della-siria
– http://www.iltempo.it/esteri/2016/02/20/nell-egeo-muoiono-due-bimbi-al-giorno-1.1511073
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