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LA QUIETE PRIMA DELLA TEMPESTA – Cronache greche, ma universali

17 Ottobre 2015 by Jacopo Brogi Lascia un commento

ATENE

Tra Speranza e rassegnazione il confine è labile.

Il colpo perfetto delle èlite greche, eseguito sotto dettatura di quelle atlantiche, è compiuto: permettere a Rasmus Ruffer, Declan Costello, Delia Velculescu e Nicola Giammarioli di stabilirsi ad Atene. Le “istituzioni”, secondo il Memorandum controfirmato da Tsipras, la troika per i comuni mortali.

Continuare a testare il liberismo estremo in un paese piccolo, ma dalla Storia e dalla cultura immensa, geopoliticamente cruciale nello scacchiere globale.

Incredibile come questa città lasci ogni volta incantati e sbigottiti allo stesso tempo.

L’Acropoli è praticamente l’unica cerniera con la Storia e la cultura che fu, tutto il resto è un eterno presente di decadenza e trasformazione. Le parti centrali della città sono semivuote, fra saracinesche scassate, edifici diroccati e fatiscenti, spazi commerciali dismessi. La prima mazzata negli anni ’90, che soffrirono l’epoca della “dracma forte”; l’Euro ha fatto il resto.

Gli unici colori dell’austerità sono i murales che mantengono vivo ciò che non lo è più; da queste parti potete incontrare Madonna, Angela Merkel vestita da Mickey Mouse, e persino Osama Bin Laden. Ecco che qualche parete mezza distrutta può prendere forma e sembianze di strani personaggi; giovani e ammiccanti Liz Taylor dagli occhi viola, fumetti quando non folletti, gnomi o disco volanti, orsi bianchi in muratura, soldati di ventura che lottano fino all’ultimo mattone. Sono gli immigrati africani. mediorientali e asiatici che fanno pulsare il cuore della Capitale: vi abitano e animano il commercio.

Le vie delle shopping e del lusso si contano sulle dita di una mano, sul retro se non sono ancora macerie è per i ponteggi di sicurezza. Diversi palazzi sono marchiati da scritte ormai sbiadite: “affittasi”,” vendesi”, ma anche “si regala”, sembra uno scherzo. Ma alcuni dicono che non lo sia affatto.

I locali della movida sono pieni, tre giorni a settimana. Il sole d’ottobre picchia come quello estivo, eppure l’austerità è un temporale infinito, pochissimi hanno l’ombrello adatto e se la spassano all’asciutto.

Il ristorante dove incontrammo Marianna, la cameriera di 24 anni che di giorno era anche barista in un altro locale, è fallito. Lavorava 15 ore al giorno, 7 giorni su 7. Per poco più di mille euro. E gli altri? Non c’è famiglia della classe media che non abbia un disoccupato da mantenere.

Questo paese, come tanti altri, avrebbe risorse, intelligenze, competenze e potenzialità, se almeno gli fosse data l’opportunità di salvarsi e di prosperare. Ed invece hanno fatto, fanno e faranno di tutto per togliergli ogni speranza. Proprio ciò che avevano dopo le elezioni dello scorso inverno: l’aspirazione ad un cambiamento, ad un avvenire diverso; e ne parlavano per strada, ne dibattevano al bar, anche se ridiscutevano ciò che avevano sentito alla tv, con un passaparola continuo che alla fine ha avuto l’effetto rivoluzionario che ottiene una soap opera brasiliana trasmessa all’ora di punta.

Speranza, che hanno pure i tanti immigrati in fila perpetua al Porto del Pireo (promesso da Tsipras ai cinesi e prossima svendita sulla lista della spesa imposta dai creditori internazionali e controfirmata dal governo greco senza battere ciglio), in molti assicurano “siamo siriani”, ma solo perchè la Merkel accoglie certe nazionalità a dispetto di altre, mica scema: i siriani sono fisicamente robusti e di solito abbastanza elevati culturalmente.

Stanno creando una nuova Società, ma questa è un’altra storia, come quella di un nostro amico bengalese che ci sta ospitando: ha più volte benedetto la crisi, neanche fosse il presidente della JP Morgan; è stato costretto a chiudere il suo Internet Cafè, e poi si è buttato nel business dei B&b, quindi guadagna molto più di prima e con molta meno fatica.

La spinta propulsiva dell’oceanica emozione collettiva sembra evaporata. Ad una riunione nel quartiere di Kallithea di alcuni partiti e movimenti che avevano gridato Oxi al referendum di Luglio, non sono certo in molti. Vorrebbero costruire un nuovo partito trasformando in offerta politica, il NO all’austerità che appena tre mesi fa accumunava il 62% del popolo greco. Vorrebbero.

Ma Tsipras ha trasformato dolosamente il NO in naí. Mai tradimento è stato più redditizio per i mandanti: disorientamento, disillusione, disinteresse, apatia collettiva. Rabbia e rassegnazione individuale. I plebei devono capirlo: sono inutili e non possono influire in nessun modo nelle scelte che contano.

Chi comanda davvero ci concede soltanto “Democrature“, come le chiama l’intellettuale russo Predrag Matvejević, dittature contemporanee e raffinatissime, quelle nate ormai in tutto il mondo sviluppato secondo i dettami del politologo americano Samuel P. Huntington: “Il funzionamento efficace d’un sistema politico democratico richiede una certa dose di apatia e disimpegno da parte di certi individui e gruppi. In passato, ogni società democratica ha avuto una popolazione marginale, di dimensioni più o meno grandi, che non hanno partecipato attivamente alla politica. In sè, questa marginalità da parte di alcuni gruppi è intenzionalmente antidemocratica, ma ha anche costituito uno dei fattori che hanno consentito alla Democrazia di funzionare efficacemente.”

Secondo le urne dello scorso settembre, la Grecia è divisa ancora una volta: una non vota, l’altra non ha alternativa. A conti fatti, Syriza si è presa un mandato per dare piena attuazione al memorandum che ha firmato, con circa il 12% dei consensi popolari effettivi.

Un governo più tecnico e meno politico, più Pasok e meno Syriza, proprio come chiedeva il Fmi (quindi gli Usa), vero sponsor di Tsipras: secondo Bild, del 13 Luglio 2015 “Il Fondo Monetario Internazionale – accettato al tavolo delle trattative dal governo greco, ndr – chiede un governo tecnico per implementare le riforme“. E sarà ancora più austerità, ossia povertà e saccheggio di beni pubblici a norma di legge.

Dal 2009 è una fabbrica di disoccupati e disperazione, non è più un paese libero, ma una colonia di banche e multinazionali, non è più una Società, come quella occidentale in genere, ma un “insieme di individui e di famiglie“, come auspicava Margaret Thatcher: il suo sogno, e quello delle èlite economiche, era questo e lo hanno realizzato.

Spento il teatro mediatico, la partecipazione si è dileguata dalle uscite laterali ed è rimasta sul palco soltanto isolata incredulità: “Hanno tradito i nostri sogni e la possibilità di realizzarli“, sentenzia una ragazza. Cosa c’è di più criminale? L’assemblea sta svolgendo al termine. Sarà il primo mattoncino per un’altra Grecia?

Come diceva lo studioso inglese John Mackinder, “Chi controlla l’Eurasia, controlla il mondo” e chi controlla la Grecia, ne conosce i perchè.

Dietro il governo greco ci sono gli Stati Uniti, dietro ad alcuni interessi tedeschi la volontà di alcune èlites di avvicinarsi alla Russia.

Se pensiamo alla prima e alla seconda guerra mondiale e alla “terza” di adesso inscenata con strumenti moderni economico finanziari, quando non militari, esse sono state fomentate sempre da interessi angloamericani. L’incubo è permanente: che alla potentissima manifattura tedesca, si possano saldare le risorse naturali ed energetiche della Russia in asse con la Cina. Ciò significherebbe la fine dell’egemonia Usa sul globo.

Grecia, Siria, Ucraina… siamo solo minuscole pedine nel risiko del Potere.

Tragedie e speranze, illusioni ed emozioni tradite. Ora è quiete, prima dell’ennesima tempesta.

Cronache greche, ma universali. Da quassù, sui tetti sgarrupati di una Grecia come non mai bellissima e dannata, culla di Filosofia e Democrazia, c’è lo specchio d’Occidente.

In questa eterna Polìs globale, dovrebbero perennemente echeggiare le parole di Pericle: “Credo che il benessere generale di una città, sia più utile ai suoi cittadini piuttosto che il benessere dei singoli in una città complessivamente infelice“.

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