di A.G.
“Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono” Giorgio Gaber “Per andare avanti bisogna guardare indietro”, non per ripetere il Passato, ma per inventare un Futuro dalle misure umane. Alessandro Falassi
Dal tempio della musica italiana (Sanremo 2011) Roberto Vecchioni con la sua canzone vincitrice del festival lancia un grido d’allarme alle nuove generazioni: “…stanno uccidendoci il pensiero”.
Il prof. Vecchioni ha capito che nelle moderne democrazie è ormai presente da tempo un’arma letale: l’informazione, o meglio, la comunicazione dell’informazione. Si tratta di uno strumento di offesa che paralizza il pensiero e trova terreno fertile soprattutto in quelle società che si definiscono democratiche. Grazie al pluralismo dell’informazione il potere della comunicazione penetra in qualsiasi strato sociale.
Il primo vanto degli stati con forte connotazione democratica è quello di garantire un’ informazione pluralista affinché l’individuo sia messo in grado di scegliere fra vari modelli di pensiero e rinunci ad attingere al proprio.
Giornali, radio, televisione, internet, rappresentano i principali media di massa che comunicano tutti gli stessi contenuti, ma con modalità diverse. La parte del leone la fa il canale televisivo che, grazie ad al doppio segnale (audio/video) può “manipolare” il messaggio come, quando e quanto vuole. Al contrario, la radio utilizza un unico segnale (audio), mentre internet, come meta medium (raccoglie giornali, radio, tv), manipola il messaggio anche in modalità interattiva, ossia adotta una comunicazione “circolare”, bi-direzionale che, anche se a distanza, simula la comunicazione in presenza (face to face).
L’illusorio slogan pubblicitario in quegli stati che si definiscono democratici si traduce in: “più scelta più democrazia”, e la persona si mostra disinibita tanto nella scelta del bene di consumo quanto in quella dell’altrui pensiero. Nella strategia di soffocamento del pensiero, la comunicazione scorre nei canali mediatici che manipolano privi di regole le stesse informazioni e le commentano a proprio piacimento con l’intento non solo di trasferire sapere, ma soprattutto per “portare a casa qualcosa” e esercitare un libero potere, immobilizzando così ogni forma di pensiero dell’individuo, a cui resta la sola ed unica funzione di scelta.
Questa comunicazione, nella sua opera di appiattimento mentale, si arroga anche il diritto di manipolare le emozioni (rabbia, dolore, gioia, sconcerto, incredulità, ecc.) e ad esempio le fa credere comuni a tutta la massa.
Gli stessi messaggi, ripetuti più volte, arrivano a “drogare” la mente e inibiscono qualsiasi processo spontaneo di autonoma formazione di pensiero. La ripetizione del messaggio rappresenta una delle principali tecniche del controllo mentale e il suo effetto risulta direttamente proporzionale al tempo di esposizione.
Oggi, ci sono persone che possiedono forme morbose di dipendenza dalla TV o dalla radio o dai giornali e, se vengono loro a mancare questi strumenti d’informazione anche per periodi brevi, non riescono ad affrontare con la giusta tranquillità la vita quotidiana.
L’individuo è talmente abituato a scegliere fra i modelli che gli vengono proposti che, se gli stessi improvvisamente spariscono, si trova senza bussola nel contesto sociale in cui vive. In effetti, anche per la condizione di stress e logorio quotidiano della vita moderna, risulta più facile un “copia/incolla” dell’altrui pensiero anziché una laboriosa e faticosa produzione del proprio.
In un scenario simile i mass-media possono essere paragonati ad ingranaggi di una “lavatrice del cervello” che lava ogni facoltà di pensiero nell’individuo collocandolo nella condizione di persona che per sentirsi socialmente viva non può far a meno di “elaborati mentali” già pronti all’uso, per condividerli o rifiutarli, e illudersi così di partecipare attivamente alla vita sociale.
Il verbo consolidato per le generazioni di inizio terzo millennio è scegliere, scelta che oggi si può chiamare anche condivisione e, attraverso la quale, l’individuo si illude di esercitare la propria sovranità.
Scegliere un oggetto, una persona, un’idea, ma restare sempre chiuso all’interno della propria corazza, alla finestra a guardare, senza mai partecipare attivamente alla vita sociale con una “produzione” del proprio pensiero. Allo stesso tempo l’ingranaggio può anche provocare nell’individuo un pericoloso stato di autodifesa a questo sistema di comunicazione che si traduce nel rifiuto completo di ascolto e un conseguente senso critico che resta per lo più fine a sé stesso.
Edgard Morin, filosofo e sociologo francese contemporaneo, afferma che “l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare”, una conoscenza “costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero”, il quale a sua volta “è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e la società”.
Oggi, il pensiero umano ha bisogno di essere risvegliato e allontanato da quel modello di conoscenze specialistiche che ha contribuito ad indebolirlo nella percezione globale. Nella nostra era, ciascuno tende ad essere responsabile solo del proprio compito specializzato e delega ad altri la capacità di concepire il globale e il fondamentale.
La stessa scuola ormai da tempo è proiettata sulla conoscenza specialistica senza accorgersi che oggi è necessario l’opposto: occorre “sapere qualcosa su tante cose”.
Si è realizzato così un modello di uomo sempre più individuo e sempre meno espressione della collettività.
È pertanto necessaria una riforma del pensiero che educhi al bisogno di una nuova conoscenza e superi la separazione dei saperi presente nella nostra epoca a favore di un pensiero della complessità.
Purtroppo, senza pensiero mancano le idee, manca la riflessione su ciò che fa l’umanità, su dove va, su ciò che è veramente importante costruire … la globalizzazione, il clima, il rischio di collasso dell’ambiente, dell’economia sono questioni enormi e urgenti (Alessandro Falassi).
Per comprendere come la comunicazione assuma una forza incisiva sul controllo mentale basta pensare all’avvento della pubblicità e al conseguente modello consumistico. Nel 1836, in Francia, per la prima volta la pubblicità venne ospitata su un giornale (“La Presse”) e fu proprio l’Ottocento il primo secolo in cui la comunicazione ebbe un uso sociale forte perché si assistette alla nascita di una società di massa, aggregato umano determinato dalla rivoluzione industriale (passaggio dall’agricoltura all’industria e ai servizi).
All’indomani del secondo conflitto mondiale in quelle parti del globo più facilmente raggiungibili dalla comunicazione, le persone attraverso la pubblicità sono state educate a diventare consumatori. I canali mediatici, in particolare la tv, hanno contribuito a “martellare” la massa con due principali modelli di vita: essere e avere: “io consumo perciò sono” e, mentre prima era la sostanza che contava, oggi conta l’apparenza. Se ho un vestito firmato, una bella automobile, uno smartphone posso sentirmi appagato anche con un contratto di lavoro a tempo determinato e ha poca importanza se l’aria è ormai irrespirabile e il cibo immangiabile, se la natura si scatena in modo sempre più violento sull’uomo, perché conta solo l’apparenza e “l’apparenza è la sostanza” (A. Warhal).
Nel nostro Paese, ad esempio, a creare individui sempre più soli e concentrati su se stessi hanno contribuito i cambiamenti sociali e la rivoluzione degli anni sessanta, che ha visto la fine della mezzadria e della famiglia patriarcale tradizionale in cambio della famiglia nucleare in cui al suo interno i rapporti di interazione e di filtro rispetto al mondo esterno sono saltati. La piccola comunità faccia a faccia, dove tutti si conoscevano, da una parte opprimeva l’individuo, ma dall’altra mediava tra l’individuo ed i grandi sistemi sociali. Naturalmente una società ridotta a nomadi si manipola meglio.
Oggi la famiglia media italiana è di 2 persone, 47. Papà, mamma e “un po’ di bambino” con tantissimi nuclei single parent, formati da un solo genitore. Ecco che senza contrappesi, ognuno è lasciato in solitudine ad affrontare questo bombardamento di messaggi pervasivi e persuasivi, che attraverso le immagini con precisi modelli pubblicitari, ci danno le misure dell’esistere. Senza che l’individuo venga mai chiamato a riflettere criticamente. La tradizione lo faceva, ora dovremo imparare di nuovo a farlo, a porci le grandi domande esistenziali. Chi siamo? Da dove veniamo?. Dove andiamo? (Alessandro Falassi)
Ma noi, oggi, siamo in grado di rispondere a queste tre domande?
Probabilmente si, ma prima dovremmo uscire dall’attuale ragnatela di un “sistema di comunicazione” che, in virtù del principio costituzionale della libertà di pensiero (art. 21 – Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) e in nome del diritto di informazione, lucra per trarre profitto dall’informazione e nega ai cittadini il reale diritto ad essere informati.
Si tratta di un sistema che, grazie ad una comunicazione studiata per centrare obiettivi precisi, inquina mente e spirito della massa e finisce per creare una “dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” (papa Ratzinger).
Viene calpestato così un punto fermo nel codice morale della società e cioè che ogni generazione debba avere doveri nei confronti di quelle a venire. Un insieme di messaggi che imprigionano il pensiero e che creano un mondo ambiguo “che ti logora di dentro e in cui non c’è niente che somigli al vero: il tutto è falso, il falso e tutto. Cerco di afferrare un po’ il presente, ma se tolgo ciò che è falso non resta più niente. Il falso è un illusione che ci piace ed è assai più oscuro se mescolato a un po’ di vero” (Giorgio Gaber).
Così si esprimeva a metà anni settanta in una delle sue canzoni Giorgio Gaber, ma sono passati quarant’anni e in realtà non è cambiato niente, perché intrisa di un po’di falso e un po’ di vero l’informazione viene comunicata ancora oggi con l’intento di attirare il più possibile l’attenzione di chi legge/guarda/ascolta e condurlo per mano in quel regno di condivisione del pensiero. È impossibile non notare il “lampo” che esce dal canale mediatico e allo stesso tempo restare “folgorati” nella facoltà di pensare.
Prendiamo ad esempio l’informazione della cronaca nera che rappresenta oggi il “maggior accanimento mediatico” nei confronti della massa. Qualsiasi evento, quando viene comunicato, assume i contorni di un mistero, un giallo, che tiene col il fiato sospeso chi legge/guarda/ascolta, in particolare se c’è un colpevole da scoprire.
La reale informazione della notizia viene arricchita da una comunicazione farcita di locuzioni del tipo: “sembra che”, “può darsi”, “potrebbe trattarsi” ecc., utilizzate con lo scopo ben preciso di creare dipendenza mediatica nel soggetto e incrementare l’indice di gradimento del canale che veicola il messaggio. Per soffocare ogni forma di pensiero questa comunicazione si avvale anche dell’effetto “distrazione” e, attraverso informazioni civetta, l’attenzione della persona viene distolta dal reale problema su cui è concentrata in quel preciso momento e veicolata su altre notizie. Disconoscere un simile impianto di comunicazione a favore di un esercizio “pulito e trasparente” dell’informazione potrebbe rappresentare un nuovo umanesimo per la civiltà di inizio terzo millennio e significherebbe liberarci da una dittatura mediatica nelle mani di pochi.
Potrebbe finalmente aiutarci a pensare per acquisire la percezione globale della realtà, ma quello che è più importante oggi, vedere la reale condizione in cui si trova il nostro Paese, e cioè: chi siamo: un’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale povera, distrutta, semi analfabeta, ma ricca di tre doti immense: la Costituzione del 1948, lo Stato democratico a Parlamento sovrano, una propria moneta; da dove veniamo: da un’esperienza durata circa un trentennio che ha portato una penisola priva di grandi risorse, senza petrolio, finanziariamente arretrata, a diventare la settima potenza economica del mondo, prima fra tutte per il risparmio delle famiglie (“miracolo italiano”); dove andiamo: incontro ad una inesorabile distruzione economica e sociale del Paese in quanto un organismo sovranazionale ci ha tolto la sovranità costituzionale, quella parlamentare e quella monetaria.
Ma chi ha interesse a controllare la massa attraverso un simile sistema di comunicazione e perchè?
Chi vuole soffocare il libero pensiero per attuare un disegno finalizzato a esercitare potere egemonico sull’umanità?
Per rispondere basta ricordare ancora una volta l’invenzione della comunicazione pubblicitaria da cui ha avuto origine l’attuale “dittatura dell’informazione”. Si tratta di una comunicazione fatta di messaggi consumistici per il continuo inutile acquisto di beni materiali col fine di far fare profitto a pochi e ridurre all’indebitamento altri. E se quello consumistico è il principale modello su cui ruota l’intera esistenza dell’essere umano, quello economico, che oggi in larga misura trova origine nei consumi, rappresenta il più importante strumento di controllo della massa. Oggi, purtroppo, siamo arrivati ad un grado tale di non-civiltà che potere di consumo è diventato sinonimo di ricchezza e benessere per un paese. In un simile scenario chi ha interesse a esercitare il proprio potere usa la comunicazione anche per trasmettere insicurezza economica col fine di paralizzare le coscienze della gente.
Si vogliono creare così persone sempre più povere, alla presa con problemi finanziari, costrette a lavorare tutta la vita per il denaro e, allo stesso tempo, arricchire persone sempre più ricche che fanno lavorare il denaro per loro. Da un lato si può parlare di economia reale, che si fonda sull’onesto lavoro che produce ricchezza e benessere, dall’altro di economia finanziaria che lucra, come un parassita sull’economia reale e arricchisce, impoverendo la massa, soltanto pochi privilegiati.
Multinazionali e lobbie, ovvero i padroni dei mercati, sono oggi i dittatori del sistema economico e finanziario. Dirigono a livello mondiale l’economia reale e il suo parassita: la finanza. Affermano che le attività economiche, lo sviluppo, la crescita, devono dipendere sostanzialmente dall’attività privata in quanto il mercato è l’unico regolatore preposto. Si tratta di potenti uomini d’affari senza scrupoli che in nome del profitto facile “consumano” giorno dopo giorno il pianeta con il rischio di avviarlo a completa distruzione.
Individui che predicano la forza dello stato liberale e, all’insegna del fondamentalismo neoliberista, costruiscono trappole, come quella del debito pubblico, per mettere in ginocchio intere nazioni e arricchirsi con i facili guadagni che derivano da operazioni finanziarie speculative. Per realizzare il loro disegno iniziano prima a screditare agli occhi dei cittadini le istituzioni pubbliche manovrando la corruzione politica al loro interno, poi propagandano l’illusione che “privato è meglio che pubblico”azzerando così ogni potere imprenditoriale dello Stato.
Il risultato: distruggere lo Stato e sostituirlo col profitto e l’azione regolatrice dei mercati.
Sono uomini ricchi, politicamente potenti e influenti nel mondo occidentale, che ogni anno, dal 1954 ad oggi, si incontrano segretamente per decidere il futuro dell’umanità. Uomini che per centrare i propri obbiettivi, davanti a qualsiasi difficoltà, non esitano ad impugnare l’arma della corruzione politica.
Questi soggetti si sono posti l’obbiettivo di costruire l’era del post-nazionalismo e, come affermò negli anni ’70 William Vincent Shannon, prestigioso giornalista redattore del New York Times, lavorano col fine di creare un’economia globale, un governo mondiale e una religione universale.
All’interno di un’economia globalizzata, le multinazionali, rappresentano aziende private che da circa settanta anni impongono le proprie regole sui mercati internazionali con la complicità della finanza e la politica per perseguire il disegno di far rinunciare alla sovranità i singoli stati e costruire identità sovra-nazionali.
In un simile scenario, noi, popoli del vecchio continente, siamo ormai avviati alla perdita di ogni forma di identità nazionale, di ogni valore culturale, di appartenenza e di vera democrazia, in cambio di un unico grande Stato (Europa) governato da un’oligarchia di soggetti che non si ritroveranno lì eletti per caso.
Viene da rabbrividire se solo si pensa che poco più di mezzo secolo fa siamo usciti da un conflitto mondiale che ha contato il sacrificio di migliaia di vite umane per la difesa della libertà e della democrazia delle nazioni. I popoli usciti dai regimi totalitari come da un incubo hanno avuto il pregio di creare nuovi modelli di stato garanti di democrazia, benessere economico e sensibilità per lo stato sociale. Oggi, solo in nome del profitto, questi modelli sono stati distrutti e viene perpetrato il più grande crimine contro l’umanità: la disoccupazione.
Ma perché noi non riusciamo a prender coscienza della situazione attuale? Perché la comunicazione è un’arma così potente che si colloca in una posizione strategica ovvero al centro dell’agire sociale?
Una risposta la possiamo già trovare nell’affermazione di Morin quando dice che” l’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare.
Ma noi, se resteremo all’interno di questo sistema di comunicazione, difficilmente potremmo possedere un’idea di conoscenza alternativa a quella imposta dai media, perché la conoscenza deve essere “costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero” ovvero dal “ capitale più prezioso per l’individuo e la società”.
Un capitale che ci hanno sottratto e che continuano a sottrarci ogni giorno. Sarà allora la rinascita del pensiero l’ultima speranza per scongiurare la fine di questa civiltà?
Italia smetti di scegliere: rifletti, pensa e costruisci il tuo futuro.
[…] l’amico A.G. Vox che, ancora una volta, ha voluto condividere con VOX POPULI un’ articolata analisi sullo […]